Io sono Li

Regia: Andrea Segre
Script: Andrea Segre, Marco Pettenello
Attori: Tao Zhao, Rade Serbedzija, Marco Paolini, Roberto Citran, Giuseppe Battiston

Dal sito del film: Shun Li lavora in un laboratorio tessile della periferia romana per ottenere i documenti e riuscire a far venire in Italia suo figlio di otto anni. All’improvviso viene trasferita a Chioggia, una piccola città-isola della laguna veneta per lavorare come barista in un’osteria.
Bepi, pescatore di origini slave, soprannominato dagli amici “il Poeta”, da anni frequenta quella piccola osteria.
Il loro incontro è una fuga poetica dalla solitudine, un dialogo silenzioso tra culture diverse, ma non più lontane. È un viaggio nel cuore profondo di una laguna, che sa essere madre e culla di identità mai immobili.
Ma l’amicizia tra Shun Li e Bepi turba le due comunità, quella cinese e quella chioggiotta, che ostacolano questo nuovo viaggio, di cui forse hanno semplicemente ancora troppa paura.

"Sono solo, non sono morto," sbotta Bepi parlando con il figlio al telefono, ed è assolutamente vero. L'isolamento e la solitudine sono i due temi centrali del film che propone una storia semplice, condita con i sapori del vino e delle canocchie pescate la mattina in laguna. L'isolamento dell'essere stranieri in una terra straniera, e la solitudine di due persone che trovano conforto e compagnia l'uno nell'altra. È questa la storia di Shun Li e Bepi, due personaggi che hanno pochissimo in comune e che faticano addirittura a parlarsi. Utilizzano l'italiano come lingua franca, lei con un lessico limitato e lui con il forte accento della laguna che lo ospita da trent'anni. Nonostante questo ostacolo Bepi e Li riescono a raggiungere un livello di comunicazione superiore, fatto di poesia, di parole incomprensibili, di suoni (la lingua cinese e il dialetto veneto non si somigliano, ma sono entrambi musicali) e anche di silenzi. Proprio questi silenzi sono il fiore all'occhiello della narrazione perché riescono a convogliare l'idea precisa della comunione di due animi. L'abbraccio di Bepi è probabilmente uno dei momenti più belli dell'evoluzione del loro rapporto. Purtroppo la normalità, la provincialità e la paura di una piccola città e dei suoi abitanti minerà questa fiaba. Gli altri personaggi, gli avventori dell'osteria in cui lavora Shun Li sono dipinti in maniera magistrale, senza scadere in piccoli stereotipi o banalità. I chioggiotti sono tratteggiati come persone chiassose e miopi. La comunità cinese invece è il più grande simbolo dell'isolamento, di qualcosa che nasce, si sviluppa e prolifica in un ambiente senza avere troppi contatti con l'ambiente stesso. Tutto quest fa sì che la fiaba vissuta da Shun Li e Bepi naufraghi nel nulla.

Tecnicamente il film è fatto piuttosto bene. Durante i 100 minuti della pellicola, la narrazione si sviluppa con un ritmo costante, mai affrettato, puntaggiato di pause ironiche. La fotografia è molto interessante perché riesce a colmare perfettamente i momenti di silenzio durante lo sviluppo. Grazie a una limitata profondità di campo, l'attenzione è sempre portata sui personaggi e ribadisce quanta poca libertà abbiano. Il finale a livello visivo è capace di convogliare un senso di disagio fatto tutti di linee di fuga verso l'esterno dello schermo: la voglia dei due personaggi di fuggire da questa situazione che li sta strangolando. Il finale della storia è preparato bene, con un colpo di scena lieve e delicato. Il regista non utilizza alcun effetto speciale e il tratto è il più realistico possibile. La storia di Shun Li e Bepi è documentata molto bene: il regista cerca a tutti i costi di non giudicare mai i personaggi, ma di presentarli per quello che sono.

In breve: un film delicato, capace di commuovere e trasportare. Un film per niente artefatto capace di raccontare una storia così comune da essere unica.

Voto: 7,5


Davide Mazzocchi

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