The Beast Stalker

Dante Lam, regista e scrittore di questo film, ci presenta un lungometraggio poliziesco piuttosto teso che ruota attorno a due uomini, il poliziotto e il killer. Il vero problema è che alla fine della visione lo spettatore non ha idea di chi sia la bestia e chi il cacciatore.

Perché il poliziotto che mostra umanità e dedizione (quasi ossessiva) al lavoro e alla giustizia non fa la figura del buono, anzi. Sembra freddo e violento già all'inizio e preda del senso di colpa per tutto il resto del film. In realtà potrebbe essere alla ricerca di una specie di redenzione, di perdono per le azioni che ha compiuto. Il killer, al contrario, mostra un lato umano inaspettato. Una specie di ribaltamento parziale dei due ruoli chiave tutto condito con la disperazione di una famiglia distrutta.

Anche la sceneggiatura non è troppo banale. Assomiglia vagamente a Crash, senza però raggiungere gli stessi livelli sul piano narrativo: è il flashback finale a dare tutto il senso al film. Il doppiaggio italiano mi lascia perplesso, in qualche modo sminuisce con le sue imperfezioni un film realizzato bene.

Voto: 7
Davide Mazzocchi

MyMovies e il cinema sul divano

Ieri sera, dopo un pomeriggio di ozio in un sabato fin troppo caldo, mi sono gustato The beast stalker, film presentato al Far East Film Festival 2009 comodamente adagiato sul divano di casa. La magia (?) l'hanno resa possibile Internet e la piattaforma di streaming di MyMovies, battezzata in modo piuttosto limpido MyMoviesLive.

Per farla breve, i dettagli sono tutti chiari e limpidi sul sito, MyMovies offre un servizio di streaming ad abbonamento, circa 3 euro al mese. Ogni sera è prevista una proiezione alle 21.30. Ogni mese sono proposti 2 (due) titoli che rimangono in sala per due settimane. In occasione di festival particolari tipo il Far East Film Festival le proiezioni si moltiplicano cercando di dare una degna copertura all'evento. Parlando in chat con Filippo Gini, scopro che saranno coperti altri festival e ci saranno anteprime web che il sito offrirà sulla piattaforma di stream. Filippo giustamente non si sbilancia. Se fai due conti capisci subito che è un'offerta buona.

Due film al mese a 3 euro sono più o meno in linea con i prezzi dei film on demand, anzi qualcosa meno, data la rigidità degli orari. È curiosa la scelta dello streaming sull'on demand, ma secondo me è sensata proprio per come è fatta. Una volta che si accede al sito e in particolare alla proiezione, sullo schermo del computer compare un grosso count down che si azzera mezzora prima della proiezione. Si entra così in una zona chiamata red carpet e si aspettano ancora 20 minuti. La cosa simpatica è il vedere comparire la gente e il poter anche attaccare bottone prima della visione. Allo scadere dei venti minuti si entra in "sala". Sullo schermo compare il media player e partono le pubblicità e alcuni trailer. I commenti sono ancora attivi e si può ancora parlottare. Alla fine dei trailer parte il film vero e proprio. Sarà possibile gustarselo a schermo intero oppure a metà schermo lasciando spazio ancora una volta ai commenti in "sala". Io il film me lo sono visto così. Ogni tanto ho provato a scrivere qualcosa. L'interattività con altri è abbastanza rara, ma non impossibile e forse forse è la parte che mi ha convinto di più.

La scelta dello streaming con conseguente aggregazione di persone non è sbagliata e anzi, mi sembra gestita in modo interessante: fa molto "cinema". Certo dovrà crescere ancora un po' per diventare davvero interessante, ma mi sembra un buon inizio, soprattutto se ci sarà un occhio di riguardo per quegli eventi che altrimenti non avrebbero grande diffusione. È pur sempre un'opportunità in più.

Cosa piove dal cielo?

Una farfalla sbatte le ali a Pechino e un uragano colpisce New York. Stavamo pensando di introdurre anche la sezione Meteo qui su UltimaPoltrona, ma poi siamo andati a vedere Cosa piove dal cielo? e abbiamo cambiato idea, anche perché dal cielo sta piovendo più o meno di tutto. Parafrasando l'effetto farfalla si potrebbe dire che piove una vacca a Pechino (ammazzando della gente) e una vita a Buenos Aires viene sconvolta, ma con un lieto fine.

È la storia di Jun e Roberto, rispettivamente il cinese sconvolto dalla pioggia bovina e l'argentino sconvolto dall'arrivo del cinese nella sua vita di ferramenta solitario e burbero. Ci sono tutti gli ingredienti per raccontare almeno una storia sensata, dati questi presupposti. Infatti il regista esplora i temi che stanno andando per la maggiore al cineforum in questo periodo. Solitudine, isolamento, differenza, mutamento improvviso, famiglia inesistente (quando non allargata a dismisura), comunicazione (difficile), rapporto indissolubile con il passato. Tutto travestito da commedia con qualche spunto interessante.

C'è da dire che a modo loro le storie dei due personaggi non sono male o forse a renderle interessanti è il punto di vista di chi racconta: la caduta di animali, vista da terra è chiaramente assurda, ma se li guardiamo dall'aereo che li trasporta è del tutto plausibile. Lo stesso vale per la vita di Roberto, che pare in qualche modo assurda, ma che viene spiegata nel finale quando finalmente i due (cinese e argentino) riescono a scambiarsi due parole. Più o meno è tutto qui.

Interessante se contestualizzato a questo periodo di film come Shame, Young Adult, Io sono Li e tanti altri che scavano nella società moderna, perdibile se visto da solo.

Un ultimo consiglio: pare che tornerà ancora un po' di maltempo, qui da noi, occhio alle chianine in caduta libera: sono senza paracadute.

Voto: 5, anzi 6, non so
Davide Mazzocchi

To Rome with love - In pillole


Forse non un’opera Carusiana ma pur sempre un’opera questo film lo è. La commedia è semplice, scontata ma con battute esplosive che alzano notevolmente il tiro del film con lampi splendidamente geniawolliiiiannii. Scene surreali? Da noi sono l’odierna realtà! Solo "il beccamorto" trasformato in un eccezionale tenore sotto la doccia meriterebbe di diventare reale. Il resto, nel bene o nel male, la nostra Italia c’è l’ha già.

Non ci resta che dire "Ridi Pagliaccio, Ridi!"

Voto:7,5 
Superflower

To Rome with love per lo spettacolo e le sue illusioni

Utilizzando Roma come sfondo da cartolina e maneggiando i più classici stereotipi sugli italiani, Woody Allen confeziona un gustoso intreccio di storie legate dal filo del perturbante mondo dello spettacolo che irrompe nella routine della gente con le sue vacue illusioni, la sconvolge fin quasi al punto di rottura, prima di tornare a una normalità che però non sarà più come prima.

Il becchino che viene lanciato nel mondo del melodramma; il grigio impiegato che senza ragione i media trasformano da un giorno all’altro in celebrità; lo studente di architettura che si lascia sedurre dall’attrice-migliore amica della fidanzata; la sposina provinciale a sua volta affascinata dal lumacone di Cinecittà (mentre il marito è alle prese con la escort più richiesta sulla piazza).

È sorprendente come Allen riesca a non essere banale, pur usando di Roma e dell’Italia i temi più banali: i monumenti universalmente celebrati e i luoghi comuni più abusati. Ma quando la finzione, come spettacolo e come illusione, è il cuore del racconto, tutto è lecito. Dei quattro episodi, i più riusciti sono quello del giovane architetto ghermito dalle spire dell’amica della fidanzata, seduttrice morbosa e seriale, anche per l’espediente del fantasma-super io Alec Baldwin che interagisce spassosamente con i protagonisti del ménage à trois; e soprattutto l’episodio che ha tra i protagonisti l’autore stesso, impresario un po’ svitato in pensione, arrivato a Roma per conoscere il futuro consuocero, titolare di un agenzia di pompe funebri (immaginate le freddure), e dotato di una strepitosa voce da tenore con un piccolo limite: funziona solo sotto la doccia. Letteralmente irresistibile la scena in cui, tra un’insaponata alle ascelle e una spazzolata alla schiena, nei (non) panni di Canio uccide Nedda e Silvio cantando “Ridi pagliaccio” davanti a un pubblico comunque travolto dall’emozione.

Voto 8: Sto ancora singhiozzando per la scena dei Pagliacci con box doccia semovente.
Colin McKenzie

To Rome with love

Guardi Roma nelle primissime scene del film e ti aspetti che da qualche parte passino Gli Sfiorati con Ramazzotti a palla, ma non è così: questa è tutta un'altra storia. O meglio sono tutte altre storie, altri personaggi, altre situazioni. Ti aspetti anche che da qualche parte saltino fuori Hemingway o Dali, perché il piacevole ricordo di Midinight in Paris è ancora vivido. Ma, ancora, non è così.

Woody Allen è riuscito a riunirli proprio tutti, e non parlo degli attori (mancava giusto John Travolta e avremmo fatto tombola), ma parlo della banda di Ultima Poltrona, al gran completo. Tutti in fila in una sala praticamente deserta, complice il lunedì sera e forse qualche sospetto di troppo sul film che è stato recensito in malomodo altrove. È stato bello vedere i nostri volti sorridenti e gli occhi contenti, tutti a ripetere le battute più belle, quelle che ci hanno fatto traballare sulle poltrone. Ma in fondo in fondo questo film non è facile da srotolare. Parla in modo divertentissimo di un po' di tutto. Grazie a una bella scrittura briosa e personaggi surreali, Woody riesce a metterci davanti ad almeno due aspetti: l'uomo comune (e il luogo comune) e quella questione strana che è la fama (e anche il potere) e al sogno che Roma fa vivere ai suoi abitanti. Un po' tutti i personaggi sono attirati anche controvoglia dalla fama, dal mondo della notorietà o anche solo dal potere, dal far parte di una cerchia di persone che "contano" e guardano dall'alto questa Roma soleggiata.

Abbiamo l'architetto ammaliato dalla conturbante attricetta, il beccamorto tenore buttato sul palco sotto una doccia, la maestrina di paese con il mito dell'attore di filmacci made in Cinecittà, l'impiegato di fantozziana memoria alla prese con i giornalisti che lo inseguono per le vie di Roma. Una città dai mille volti che attira gente da tutto il mondo e in qualche modo fa vivere a tutti un sogno e dà a ognuno una specie di seconda possibilità (volenti o nolenti). E in fondo, qual è il sogno più bello di tutti se non l'amore? Dopotutto è anche il titolo del film e forse forse qualcosa c'entra. Tutti gli amori possibili: quello fatto di lussuria, quello solo sognato, quello per la famiglia, quello per i volti noti del cinema, quello per se stessi, quello che ci fa star bene.

A Woody si riesce a perdonare anche l'utilizzo di stereotipi e luoghi comuni. Anche gli accenti italiani tutti mischiati sono accettabili in un film del genere, perché funziona fin troppo bene e ti riga il volto con i lacrimoni del divertimento.

Voto: 8
Davide Mazzocchi

Il mio migliore incubo

A me questo Benoît Peolvoorde (nome che mi dimenticherò tra mezz'ora, purtroppo) sembrava di averlo già visto da qualche parte. Sì, in un mezzo film e su una locandina. Il mezzo film è il penoso Emotivi anonimi che ho tentato di guardare ma che le circostanze zuccherine del film mi hanno impedito di portare a termine. E la locandina è quella di Niente da dichiarare, film che non ho visto, ma che ricordo essere passato al cineforum dalle mie parti.

Quindi, a parte l'aver capito che esiste un monopolio di questo Benoît sulle commedie francofone, non mi è restato che assistere alle imprese sentimentali di questi due. Sì perché di fianco al personaggio di Benoît troviamo Agathe, la glaciale gallerista tutta presa dall'arte, dalla perfezione, dalla solidità della sua vita inesistente. La scena in cui Patrick (l'eccentrico e volgare personaggio maschile) abbatte un muro in casa della bella Agathe è un po' il riassunto di questo film traboccante di ironia, quella sana intendo, quella profonda, quella che ti fa ridere ma che in definitiva è amara. La trama si avvinghia alle vicende famigliari di questi due più i rispettivi figli e compagni. Una trama anche piuttosto semplice che mette proprio in risalto il contrasto all'apparenza invalicabile tra i due personaggi, le loro vite e quello che simboleggiano.

È chiaramente questo il punto di forza del film: seppur molto leggero e godibile con qualche bella volgarità di Patrick, se portato su un piano simbolico risulta interessantissimo. Ce n'è per tutti: società, famiglia, arte, amore, figli, amanti, fratelli. Il messaggio poi pare abbastanza chiaro nel suo elogio alla famosissima via di mezzo tra la granitica e sterile vita di Agathe e l'eccentrica ma fallimentare vita di Patrick. Se le due cose si venissero incontro, sarebbe tutto un altro andare, con un po' di leggerezza e qualche risata in più, la vita, questa cosa orribile che ci portiamo addosso fino all'ora fatale, sarebbe decisamente più sopportabile.

Fresco, simpatico, volgare, profondo, schietto. Ci è piaciuto molto.

Voto: 8
Davide Mazzocchi

Mirror Mirror - Biancaneve

Se spulci un po' in giro trovi che questo Tarsem Singh ha fatto anche The Cell. Io lo ricordo quasi a fatica, ma c'entrava Jennifer Lopez vestita con una cosa inconcepibile che nel suo ruolo di psicologa (psichiatra?) andava a esplorare la mente di qualcuno da dentro, grazie a un macchinario. C'era anche un cavallo affettato e i miei ricordi finiscono qui.

Dopo tanti anni, decidi di passare una serata tranquilla in sala (sì, questa volta ho controllato, per scrupolo) e ti ritrovi il buon vecchio Singh alle prese con un classico che si è stampato proprio per bene nell'immaginario collettivo. Ricapitolando: regina cattiva, Biancaneve (Neve, per gli amici), sette nani e principe azzurro (tonto in tutte le versioni, anche in questa). C'è più o meno tutto quello che ci aspettiamo, ma niente è realmente al suo posto. Singh, e soprattutto chi ha scritto la sceneggiatura, ha capito una cosa molto semplice: crea dei bei personaggi e la storia verrà da sè. La regina cattiva (una bellissima Julia Roberts) non è del tutto cattiva, solo un po' stronza e attaccata fin troppo al suo bel visino senza rughe. Biancaneve non è proprio buona buona, solo un'adolescente viziatella che si scontra con la dura realtà di tutti giorni, quella della gente normale che sbarca il lunario ma a fatica. Il principe... beh lui è tonto e basta. I nani, ci sono, ma diversi: ricoprono più o meno gli stessi ruoli, ma almeno hanno qualcosa alle spalle, un minimo di storia e pure il dramma dell'essere diverso eccetera eccetera.

Non basta. Applichiamo pure la stessa formula a tutto il resto e avremo battaglie navali con gli scacchi, marionette assassine, una chimera che si aggira nel bosco, servitori impacciati e un bellissimo regno fatto da un castello che domina lo striminzito villaggio di bifolchi. Originalità in ogni situazione, tutto è come ce lo ricordiamo, ma tutto è diverso, eppure simile, ma nuovo: il punto forte del film. Qualche effetto speciale e i costumi meravigliosi mettono il fiocco al pacchetto firmato Singh. Alla fine ti aspetti anche che Neve ci caschi ancora nel trucchetto della mela, ma la sai già la risposta: non qui, non oggi.

Insomma, vissero tutti felici e contenti, tranne la regina a cui rimane comunque il primato per i migliori vestiti.

Voto: 7
Davide Mazzocchi

Pirati! Briganti da strapazzo

A metà tra un'avventura piratesca e un racconto steampunk questo Pirati! Briganti da strapazzo riesce a divertire senza per forza essere la brutta copia dei più famosi corsari caraibici. Anzi, la storiella raccontata è abbastanza fresca e tira in ballo anche Darwin, la regina Vittoria e una vistosissima nave a vapore.

L'animazione è piacevole e i personaggi simpatici. Un po' troppo mieloso? Forse sì, ma siamo ben lontani dal diabete.

Voto: 7 Piacevole per una serata senza pensieri.
Davide Mazzocchi

Young Adult

Vai al cinema e così per gradire ti sparano un paio di trailer per farti ingolosire. Lecito e francamente azzeccato.  Questo Young Adult io me l'ero quasi dimenticato, ma poi parlandone il pomeriggio prima della visione mi è tornato in mente: Charlize Theron allo sbando con la tutona inguardabile che decide di riportarsi a casa l'ex dei tempi del liceo. Poi una Charlize in grande spolvero e che fa la matta nel bar. Pensi subito che deve essere per forza divertente e ti prepari a qualche risata.

La conferma arriva anche dal sito e dal volantino del cinema: commedia, la didascalia rassicurante. Si va,  ma incontro a una realtà molto diversa. Diablo Cody (c'entra con Juno e Jennifer's body, per dire), la firma della sceneggiatura, ci presenta una situazione e dei temi piuttosto diversi dalla commedia. Il personaggio di Mavis riesce a sintetizzare moltissime situazioni: diversità, isolamento, ossessione, legame con il passato, dipendenza dall'alcol, lavoro creativo, intelligenza, gusto. Un personaggio riuscitissimo che riesce a stregare lo spettatore nonostante non sia esattamente positivo. Durante la proiezione si arriva anche ad augurarle di riuscire nell'impresa di ricrearsi una vita con Buddy, almeno per la soddisfazione di vedere Mavis veramente felice almeno una volta.

Inutile dire come tutto quanto venga frustrato giorno dopo giorno. Mavis si scontra con qualcosa che non è più in suo potere, che è lontano ma allo stesso tempo solido come la roccia. Legami famigliari indissolubili, luoghi e situazioni modellati dal tempo e dalla consuetudine, amori e persone semplici che conducono vite banali fatte di birra cattiva e musica, se possibile, anche peggiore sparata a un volume risibile dentro al solito diner di provincia. Un mondo che per Mavis non aveva senso di esistere quando se n'è andata e a maggior ragione adesso ma che la sta ferendo ancora in modo così profondo.

Un film amarissimo che fa ricordare a tratti lo stupendo This must be the place e reso dolce da quel velo di speranza che si intuisce nel finale.
Voto: 8
Davide Mazzocchi

Un film che parla della crudeltà dell'adolescenza, del suo riverbero perenne e irredimibile, della necessità di ravvivarla anche in chi è adulto, a costo di sembrare pazzi, per non lasciarsi omologare nella noia e nella mediocrità.
 Voto: 7
Colin McKenzie

17 Ragazze

Finisce il film e una spettatrice davanti a me fa: "Ma che storia strana!" Mentre mi rimetto il giubbotto, la parola strana mi rimbomba in testa. Non capisco dove stia la stranezza in questo film. Ricapitoliamo: città di Lorient, nord della Francia, Camille è una ragazza diciassettenne che frequenta un liceo con altre ragazze a cui è più o meno legata. La novità è che Camille è incinta e intende portare a termine la gravidanza. Annuncia con leggera amarezza la sua condizione alle amiche e in qualche modo le convince a fare lo stesso.

Questo potrebbe sembrare strano se le altre ragazze fossero spinte solo da spirito di imitazione. Ne risulterebbe un ritratto corale di sedici ritardate capitanate da una ragazzetta facile e non è assolutamente così. Il film tenta un'analisi di questo gesto di gruppo cercando di dare qualche motivazione plausibile. Il risultato è così amaro, così quotidiano e così fin troppo vero che la parola strana non trova alcun tipo di posto. Ci sono almeno tre elementi: la città, decadente e in piena crisi, la generazione degli adulti, gente che si affanna a portare a casa la pagnotta senza altri veri orizzonti, e la generazione della protesta e della speranza, le ragazze. E tutti e tre i protagonisti di questa vicenda sono tratteggiati con le peggiori caratteristiche.

La città è dipinta come l'ultimo posto al mondo dove chiunque vorrebbe trovarsi. Sporca, grigia, cadente, abitata da piccole persone con piccoli pensieri, tutti intenti a salvarsi in qualche modo e a sopravvivere almeno un altro giorno. Gli adulti sembrano tutti quanti sociopatici ammazzati di lavoro e logorati da una quotidianità scadente. Affrontano le varie gravidanze urlando, imprecando contro la figlia di turno abbandonandola al più triste destino. Le ragazze, più che sfoggiare speranza, danno l'impressione di essere delle povere illuse che pensano di mettere su una comune a spese dello stato (tramite assegni famigliari) aiutandosi a vicenda e avendo più tempo libero appena dopo il parto. È questa la società di oggi? Città che vanno a pezzi abitate da questo tipo di gente? È orribile, non è strano! Però le registe, tra i vari dialoghi perdibili, sono riuscite a infilarci un paio di frasi che mi hanno fatto rabbrividire. "Almeno io avrò qualcuno che mi ama incondizionatamente", dice Camille alla madre e a me, più che voglia di amore sembra egoismo. E "non puoi impedire a una ragazza di diciassette anni di sognare", voce fuori campo. Vero, a nessuno si può impedire di sognare, ma è veramente questo che ci è stato mostrato? Un sogno o una stupida illusione?

Voto: 5 cronaca ripetitiva e critica che vanno a braccetto
Davide Mazzocchi

Romanzo di una Strage

Difficile raccontare "l'11 settembre italiano" senza scontentare i protagonisti, o gli eredi dei protagonisti, della stagione più tragica e irrisolvibile dell’Italia repubblicana. E così è accaduto (vedi pamphlet di Adriano Sofri, vedi puntualizzazioni di Calabresi figlio, vedi articolo di Corrado Stajano).

Purtroppo la verità, quella completa, quella con tutti i dettagli al loro posto, non la sa nessuno. O chi la sa tace ancora, anche perché molti ormai riposano in eterno. Bene ha fatto Giordana a mettere nel titolo la parola "romanzo", non tanto per omaggiare PPP e quell’ispiratissimo scritto corsaro che iniziava con "io so", quanto per inquadrare il film nell’unica dimensione possibile, e cioè quella della fiction, mettendo in secondo piano il "docu". In questo senso, Romanzo di una strage è un film riuscito, perché puntellando i fatti dove documenti e testimonianze riscontrate lo consentono, si è dedicato alla costruzione di tre splendidi personaggi tragici, aiutato dall’ottima prova mimetica fornita da Mastrandrea (Calabresi), Gifuni (Moro) e da un emozionante Favino (Pinelli).

La verità storico-politica resta sullo sfondo della Guerra Fredda e delle sue sporche, sporchissime trame spionistiche, delle sue intromissioni sanguinarie nelle sovranità nazionali, dove la democrazia è tale solo se il popolo non osa dare l’impressione di voler compiere determinate scelte. In primo piano, le persone, fragili, sacrificabili in nome della ragion di stato, insieme alle verità che si portano dentro. La loro vita quotidiana, gli affetti, il dialetto e le inflessioni recitate con precisione filologica. Qualcuno ha scritto che un film così non riuscirà ad interessare i già svogliati giovani a queste vicende, ormai consegnate alla nostra storia, ma al massimo i vecchi. In effetti, in sala c’era molta gente con rughe e capelli grigi, commossa. Ma come si fa a raccontare a un ragazzo che lo stato cosiddetto democratico di cui fa parte può permettersi impunemente di ostacolare le indagini su un'orribile strage di innocenti, coprire i colpevoli e far beffardamente pagare le spese processuali ai parenti delle vittime? Meglio un film Pixar in 3D, vah, prima che a qualcuno venga ancora voglia di andare per strada con chiavi inglesi e P38.

Voto 8: Almeno 3 personaggi di alto spessore tragico e grande partecipazione emotiva.
Colin McKenzie

A Simple Life - Trailer

Il film in programma domani sera.
 

The Lady

La sera del martedì parla di cineforum e ultimamente il trend evidente è questo: film biografici (siamo ormai al quarto della serie) e ruolo della donna in qualunque tipo di contesto. Non mi sembra quindi un caso che anche ieri sera sia stato proiettato un film con questi canoni. The Lady, di un certo Luc Besson, ha riempito la sala in modo quasi sorprendente (siamo ai livelli di Shame, per intenderci) e io e il mio giubbotto ci siamo trovati nella stessa poltrona, molto laterale rispetto al solito e con la voglia di vedere Besson impegnato in qualcosa di diverso.

Il film, biografico appunto, parla del premio Nobel Aung San Suu Kyi, donna birmana recentemente liberata dagli arresti domiciliari qundicennali a cui era stata costretta dal regime dei generali e delle sue importantissime scelte di vita, della creazione della Lega Nazionale per la Democrazia e delle violenze che il regime ha esercitato sul popolo birmano. La sfida di chi scrive e dirige questo genere di film non è tanto quella di creare una trama interessante o un intreccio da acrobata, ma piuttosto di mostrare un personaggio storico (i suoi intenti, la sua lotta, le sue speranze e i suoi dolori) da un punto di vista specifico calato nella cruda realtà di tutti i giorni, quella del telegiornale, per intendersi. È proprio questo il varco a cui aspettavo Besson.

La soluzione, difficile, è stata quella di mostrare un personaggio dilaniato dalla scelta tra la famiglia e il suo paese. Il punto di vista, sicuramente non originalissimo, è però una stupenda chiave di lettura di questa donna che ha sicuramente sofferto moltissimo, ma grazie alla quale sono stati possibili enormi cambiamenti. Come non citare l'altra Lady, quella di ferro, e di come è stata portata sul grande schermo? Un punto di vista simile ma con una differenza sostanziale: l'equilibrio delle parti. Mentre in The Lady il regista ci mostra con bei montaggi paralleli quello che capita a Suu e come se la passa la sua famiglia dall'altra parte del mondo, in The Iron Lady questo equilibrio praticamente non esiste, tutto a favore della Streep. E forse forse, la scelta di Besson è quella che paga di più in assoluto.

Parliamo degli attori? No, perché non se ne vedono: sono così bravi da far pensare solo al personaggio, lasciando da parte il loro mestiere. Il resto è tutto piacevole, con il regista che fa capolino solo con qualche piccolissimo dettaglio (lo scoiattolo sui fili) che fa sorridere tutti quanti, ricordando che l'ironia non è sicuramente andata persa.

Voto: 8
Davide Mazzocchi