Per recensire il lungometraggio di Sokurov bisognerebbe ridurre il formato di questo post e contrarre il testo per il lungo, o forse raddoppiare la dimensione del font, in modo da far provare al lettore un effetto di compressione simile a quello dello spettatore di Faust, che guarda un film tagliato ai lati, in un originale formato 4:3 che sembra più un 4:4 o un 3:3. Un formato volutamente claustrofobico, soffocante, riempito dai corpi di personaggi che non trovano mai spazio; o svuotato di spazi (metafisici) dalla proliferazione dei corpi, anche deformati da riprese angolate e sbilenche.
Il corpo umano, nella sua trivialità, nel suo essere sostanzialmente e disperatamente materia, è il vero protagonista della narrazione, a partire dall'incipit nel quale osserviamo il dottor Faust con una mano dissezionare un cadavere che si svuota delle interiora e nel contempo con l'altra alimentarsi; e per il resto seguendo il protagonista aggirarsi, o meglio, trascinarsi, per la labirintica cittadina pre-moderna in cui vive, alla ricerca di spazi liberi fra i corpi ammassati dei suoi concittadini, sempre invadenti, in mezzo ai piedi, come a impedirgli di tirare le fila dei suoi pensieri, lui, filosofo letterato, alla ricerca del senso della vita, o almeno della speranza che una dimensione metafisica esista, che l'anima dell'uomo si manifesti. Trova invece sempre e solo materia: un diavolo usuraio, che gli si incolla alle calcagna (o Faust si incolla a lui?) e non lo molla più; trova signori che viaggiano in carrozze troppo larghe per i vicoli del paese; belle lavandaie che espongono voluttuose le loro grazie (e, tra loro, ovviamente Margherita); processioni e funerali stralunati; preti ingordi di denaro; soldati beoni e rissosi (e tra loro il fratello di Margherita, ucciso da Faust non per cattiveria ma, ancora, per mancanza di spazio); e Margherita che accende di colori caldi l'immaginazione amorosa dello studioso, col suo viso angelico, troppo presto rimpiazzato dall'immagine fredda del suo pube, esposto brutalmente come il pene del cadavere che costituiva la sequenza iniziale.
E finalmente Mefistofele si porta via Faust, con sé in un'oltretomba brullo, islandese, dove la materia però è terrena e viene esposta nella sua primordialità alla contemplazione eterna dell'incauto filosofo, che la usa per seppellire il suo incauto tentatore, prima di proseguire la sua marcia nel nulla dell'Universo lasciato a se stesso.
Voto: 7,5
Voto: 7,5
Colin McKenzie