Faust o della Materia fine a se stessa

Per recensire il lungometraggio di Sokurov bisognerebbe ridurre il formato di questo post e contrarre il testo per il lungo, o forse raddoppiare la dimensione del font, in modo da far provare al lettore un effetto di compressione simile a quello dello spettatore di Faust, che guarda un film tagliato ai lati, in un originale formato 4:3 che sembra più un 4:4 o un 3:3. Un formato volutamente claustrofobico, soffocante, riempito dai corpi di personaggi che non trovano mai spazio; o svuotato di spazi (metafisici) dalla proliferazione dei corpi, anche deformati da riprese angolate e sbilenche.

Il corpo umano, nella sua trivialità, nel suo essere sostanzialmente e disperatamente materia, è il vero protagonista della narrazione, a partire dall'incipit nel quale osserviamo il dottor Faust con una mano dissezionare un cadavere che si svuota delle interiora e nel contempo con l'altra alimentarsi; e per il resto seguendo il protagonista aggirarsi, o meglio, trascinarsi, per la labirintica cittadina pre-moderna in cui vive, alla ricerca di spazi liberi fra i corpi ammassati dei suoi concittadini, sempre invadenti, in mezzo ai piedi, come a impedirgli di tirare le fila dei suoi pensieri, lui, filosofo letterato, alla ricerca del senso della vita, o almeno della speranza che una dimensione metafisica esista, che l'anima dell'uomo si manifesti. Trova invece sempre e solo materia: un diavolo usuraio, che gli si incolla alle calcagna (o Faust si incolla a lui?) e non lo molla più; trova signori che viaggiano in carrozze troppo larghe per i vicoli del paese; belle lavandaie che espongono voluttuose le loro grazie (e, tra loro, ovviamente Margherita); processioni e funerali stralunati; preti ingordi di denaro; soldati beoni e rissosi (e tra loro il fratello di Margherita, ucciso da Faust non per cattiveria ma, ancora, per mancanza di spazio); e Margherita che accende di colori caldi l'immaginazione amorosa dello studioso, col suo viso angelico, troppo presto rimpiazzato dall'immagine fredda del suo pube, esposto brutalmente come il pene del cadavere che costituiva la sequenza iniziale.

E finalmente Mefistofele si porta via Faust, con sé in un'oltretomba brullo, islandese, dove la materia però è terrena e viene esposta nella sua primordialità alla contemplazione eterna dell'incauto filosofo, che la usa per seppellire il suo incauto tentatore, prima di proseguire la sua marcia nel nulla dell'Universo lasciato a se stesso.

Voto: 7,5
Colin McKenzie

Faust

La ricerca esasperata di qualcosa, dell'anima, o forse soltanto del senso stesso della vita muove Faust per tutta la durata di questo lungometraggio. Lo porta a passare una vita da segregato, preda dei suoi stessi studi, altissimi, di filosofia, teologia e medicina. A rovistare dentro a cadaveri marcescenti, a vivere una vita di stenti e privazioni, a pianificare il proprio suicidio con la tanto famosa cicuta fino ad essere salvato dal diavolo in persona. Costui, sotto le mentite spoglie di una sorta di usuraio, accompagnerà Faust alla scoperta di quello che significa veramente vivere. Gli mostrerà moltissimi lati dell'animo umano e lo spingerà a compiere i gesti estremi di uccidere un uomo e amare una donna. Il diavolo, questo essere goffo e asessuato, porterà Faust alla morte e nel frattempo alla pienezza della conoscenza simboleggiata fin troppo bene nelle ultime scene dal geyser sulle montagne. Davanti a questo traguardo, Faust non può che gioire e abbracciare la sua fine ridendo.

Anche lo spettatore è sollevato dalla risata di Faust, dato che ha passato tutta la durata del film, attanagliato dalla sua stessa inquietudine. Il regista riesce magistralmente a trasmettere allo spettatore tutta la pienezza delle sensazioni del protagonista. Chi guarda viene travolto dal punto di vista emotivo, intellettuale e soprattutto fisico. E quella fisica è la sensazioni più strana che si possa provare. È convogliata verso la sala con il continuo sfregarsi dei corpi dei personaggi. La pellicola è popolata da gente che si ammassa, si struscia, si colpisce, si annusa. È una sensazione soffocante che viene meno solo nel finale. La parte intellettuale è messa a dura prova dai dialoghi densissimi, o meglio dal dialogo tra il diavolo e Faust. Un dialogo punteggiato dalle scene di corteggiamento della giovane Margaret. Domanda su domande, la ricerca nella profondità dell'animo umano, il travaglio di Faust tutto tradotto in parole, un fiume di parole dal taglio quasi teatrale che fin da subito investe lo spettatore. E il livello emotivo, messo così a dura prova dalla fotografia. Il quadrato che fa da cornice al film è soffocante e convoglia quel senso di claustrofobia che nemmeno i paesaggi del finale riescono ad allentare. I colori sono morti, non c'è il minimo calore (solo nella scena d'amore c'è una luce gialla che porta speranza e conforto). Ad aumentare il senso di disagio abbiamo anche l'utilizzo di orizzonti storti e inquadrature con prospettive deformi, come se lo spettatore stesse guardando il film da sotto il pelo dell'acqua della pozza che accoglie i due innamorati.

In breve: la ricerca del senso della vita, dell'amore e della felicità tradotti in un film amarissimo tecnicamente perfetto.

Voto: 8,5
Davide Mazzocchi

Regia: Aleksandr Sokurov
Script: Aleksandr Sokurov, Marina Koreneva
Attori: Johannes Zeiler, Anton Adasinsky e Isolda Dychauk

Trama: Il Dott. Faust è un uomo tormentato che lavora nel suo studio sporco, che somiglia più ad una bettola che non ad un laboratorio di ricerca scientifica. L’incontro con il demonio, che prende le forme di un abominevole vecchio, ed il desiderio che nutre di possedere la giovane Margherita, lo porteranno ad intraprendere un viaggio attraverso il senso stesso dell’esistenza. Il protagonista diventa così un pensatore e un anarchico, un farabutto e un sognatore che desidera spingersi oltre, anche al di là del concetto stesso di “tentazione”.

Habemus papam

La mente, questo meraviglioso meccanismo che fa compiere cose grandiose, è capace di inibire e bloccare chiunque, anche il pontefice. Habemus papam racconta proprio la storia di un papa così umano da soccombere alla responsabilità e allo stress della carica che sta per ricoprire. Un uomo quindi che riconosce i propri limiti e che tenta di fuggire o quanto meno di capire il perché di quello che gli sta succedendo. Il lungometraggio di Moretti propone l'incontro tra la psicoanalisi e la religione, tra la scienza, l'indagine dell'io e la fede. Nell'ambientazione vaticana purtroppo la psicoanalisi non trova grande spazio di manovra e si scontra con posizioni prese a priori dalla schiera dei cardinali. Mentre l'inizio del film è ottimo, il suo sviluppo fa troppo uso di situazioni al limite, sicuramente simboliche, ma che non portano informazioni allo spettatore. Il torneo di pallavolo tra i cardinali ne è l'esempio lampante. Purtroppo questa scena non funziona nemmeno nella sua interezza, dato che sfocia in un nulla di fatto, in una specie di sconfitta del dottore.

I personaggi che popolano questo film hanno tutti qualcosa in comune: sono intrappolati da qualcosa, che può essere un luogo (lo psicologo rapito), una convinzione (la moglie, psicologa, ancorata a una diagnosi pigliatutto), e il papa, intrappolato dal suo stesso ruolo e da scelte compiute molti anni prima. Delle diverse interpretazioni, la più convincente è quella del papa, personaggio ben caratterizzato che riesce a elevarsi sugli altri. Moretti stesso interpreta un ruolo difficile di cui riesce a mettere in risalto una certa presunzione e leziosità. La moglie, accreditata di essere il secondo miglior psicologo di Roma, risulta poco credibile e contradditoria. Belle alcune figure dei cardinali. La regia è pulita ed essenziale. La fotografia non eclatante è sicuramente funzionale alla narrazione. La colonna sonora accentua molto bene alcune scene.

In breve: un film coinvolgente che mostra il dramma di una persona, punteggiato qui e là da macchiette e siparietti ironici dal retrogusto amaro.

Voto: 6,5
Davide Mazzocchi

Regia: Nanni Moretti
Script: Nanni Moretti, Francesco Piccolo e Federica Pontremoli
Attori: Michel Piccoli, Jerzy Stuhr e Renato Scarpa

Trama: Alla morte del pontefice, si riunisce a Roma il conclave. I primi scrutini si concludono con delle fumate nere, dato che nessuno dei candidati maggiormente favoriti raggiunge il quorum necessario. Dopo alcune votazioni, viene eletto a sorpresa il cardinale Melville.
Al momento della pubblica proclamazione, mentre il cardinale protodiacono sta per annunciare il nome del nuovo papa alla folla dei fedeli riuniti in Piazza San Pietro, il neo eletto ha una violenta crisi di panico e fugge via nello sconcerto generale, interrompendo la cerimonia prima che sia pubblicamente proclamata la sua elezione.
Il portavoce della Santa Sede riesce ad eludere le domande della stampa e le curiosità del mondo intero, riferendo che il nuovo pontefice ha sentito il bisogno di raccogliersi in riflessione e preghiera prima di concedersi al mondo ma che, prevedibilmente, nel giro di poche ore si sarebbe affacciato al balcone per festeggiare assieme ai fedeli l'inizio del nuovo pontificato.
Secondo le leggi della Chiesa, finché il papa non si presenta dinnanzi al popolo sul balcone, la cerimonia di elezione non è conclusa e l'intero conclave non può avere alcun contatto con l'esterno.
Nel frattempo, il collegio cardinalizio, fortemente preoccupato dalla crisi depressiva in cui sembra essere caduto il nuovo pontefice, fa convocare presso la Santa sede lo psicoanalista professor Brezzi.
I cardinali accolgono con diffidenza lo psicanalista, ma consentono comunque che questi possa esaminare il Santo Padre. Brezzi, alla presenza dei cardinali, effettua una seduta analitica su di lui, dalla quale però non emerge nulla di particolare, se non la depressione ed il senso di impotenza che affliggono il pontefice.
Il neo eletto papa, perplesso perché dubbioso di avere capacità e forza tali da poter svolgere i suoi nuovi obblighi, fugge durante una passeggiata. L'intero collegio e il dottor Brezzi vengono quindi confinati in una clausura forzata, durante la quale per ammazzare il tempo i cardinali intraprendono i più svariati giochi, dalle carte a un vero e proprio torneo di pallavolo.
Dopo un periodo di fuga, tenuto nascosto dal portavoce Marcin Raijski che fa credere a tutti che il papa sia nei suoi alloggi raccolto in preghiera, il pontefice si presenterà al cospetto dei cardinali riuniti in consiglio, per annunciare le sue volontà.





Drive

Los Angeles è la tappa di un vaggio lungo una vita ed è durante questo viaggio che molte vite si scontrano producendo effetti devastanti. Il protagonista senza nome, interpretato da un ottimo Ryan Gosling, ci guida attraverso le strade di una città che rimane a fare da sfondo indifferente a quello che succede. Che si tratti di amore o di morte, questa città resta distaccata, quasi fredda, proprio come gli occhi dello stuntman. Però attraverso quegli occhi lo spettatore può vedere e assistere allo svolgersi di vite tumultuose, tormentate, mai semplici, mai banali. Ogni attimo di queste vite è potente: anche un pomeriggio a tirare i sassi in un rigagnolo acquista un significato profondo. La festa per il ritorno a casa di Gabriel, l'inseguimento iniziale, sono tutti momenti carichissimi di tensione e aspettativa. Il regista fa un utilizzo magistrale del contrasto per raccontarci una storia che nasce e si sviluppa con pacata determinazione seguendo l'inevitabilità della natura del protagonista. È proprio il contrasto che non trova mai un equilibrio a dare una marcia in più al film. Ogni cosa parla di contrasto, ne è imbevuta. Il giovane meccanico, quasi serafico che fa un uso sistematico della violenza. Irene, ragazza e madre. Gabriel, piccolo delinquente e padre di famiglia. Shannon, figura paterna e uomo ingenuo.

Il contrasto viene ribadito anche dalla colonna sonora e dalla fotografia che mantengono un livello altissimo per tutta la durata del lungometraggio, senza essere invadenti. Le scene rallentate sottolineano l'azione più frenetica e le melodie più dolci sovrastano il suono del sangue che scorre e imbratta le mani e i volti dei personaggi. Il constrasto senza un equilibrio è l'arma vincente della narrazione: lo spettatore viene strattonato e maltrattato mentre assiste a una bellssima danza di morte. Una danza che non nasce da una necessità, ma è il naturale fluire delle cose. L'inevitabilità, appunto, della natura del protagonista, simboleggiata così bene dallo scorpione che si porta sempre sulla schiena. È inevitabile amare, uccidere, fuggire, ferirsi, vivere, scappare. Fa tutto parte della vera natura del protagonista che non è meccanico, pilota o stuntman: è in fondo soltanto un uomo alle prese con tutto quello che gli si agita dentro. Forse è anche per questo che non ha un nome, non essendo necessario essere qualcuno (ribadito dalla maschera che il protagonista indossa, ogni tanto) in particolare per provare le stesse sensazioni.

In breve: un film fatto di contrasti, che racconta come la natura umana possa guidare un'intera vita anche verso la morte e la devastazione.

Voto: 7
Davide Mazzocchi

Regia: Nicolas Winding Refn
Script: Hossein Amini
Attori: Ryan Gosling, Carey Mulligan and Bryan Cranston

Trama: Driver (non ha un nome) ha più di un lavoro. È un esperto meccanico in una piccola officina. Fa lo stuntmen per riprese automobilistiche e accompagna rapinatori sul luogo del delitto garantendo loro una fuga a tempo di record. Ora Driver avrebbe anche una nuova opportunità : correre in circuiti professionistici. Ma le cose vanno diversamente. Driver conosce e si innamora di Irene, una vicina di casa, e diventa amico di suo figlio Benicio. Irene però è sposata e quando il marito, Standard, esce dal carcere la situazione precipita. Perché Standard ha dei debiti con dei criminali i quali minacciano la sua famiglia. Driver decide allora di fargli da autista per il colpo che dovrebbe sistemare la situazione. Le cose però non vanno come previsto.


Proiezioni della settimana 18 - 24 Novembre

LUNEDÌ 21 NOVEMBRE 
LE DONNE DEL 6 PIANO
Regia: Philippe Le Guay
Cast: Fabrice Luchini, Sandrine Kiberlain, Natalia Verbeke
Nazione e Anno: Francia, 2011
Genere: Commedia
Durata: 106'

MARTEDÌ 22 NOVEMBRE 
FAUST
Regia: Aleksandr Sokurov
Cast: Johannes Zeiler, Anton Adasinskiy, Isolda Dychauk
Nazione e Anno: Russia, 2011
Genere: Drammatico
Durata: 134'

GIOVEDÌ 24 NOVEMBRE
PINA 3D
Regia: Wim Wenders
Cast: Regina Advento, Pina Bausch, Ruth Amarante
Nazione e Anno: Francia, 2011
Genere: Documentario
Durata: 103'

Il villaggio di cartone

È possibile vivere un'intera vita nel dubbio? Questo è soltanto uno dei tanti quesiti che Ermanno Olmi pone con il suo Il villaggio di cartone. Ogni personaggio, pur con lunghi silenzi, riesce a convogliare verso lo spettatore il puro e semplice dubbio, la precarietà delle scelte. Nessuna risposta ci viene dal regista, solo domande che abbracciano tantissimi aspetti della vita dell'uomo. La fede, la scienza, la ricerca della libertà, la lotta, il sacrificio, la giustizia, la pietà, la sofferenza, l'amore, l'appartenenza ad un luogo (l'Africa, o la piccola chiesa, non importa). È meraviglioso vedere come si possano raccontare storie semplici, ma così ricche di significato, così profonde, con strumenti altrettanto semplici quali un silenzio, uno sguardo, un piccolo gesto. Tutto questo lascia lo spettatore attonito e soverchiato dalla quantità di pensieri che il regista riesce a convogliare.

Il film è sviluppato con unità di luogo (la chiesa appena sconsacrata e la canonica adiacente). Anche questo lo rende in qualche modo un po' magico. Non esiste un vero luogo proprio perché sono quesiti universali quelli che pone il regista. Non esiste un "fuori" ovviamente, sono domande radicate dentro all'essere umano. Dall'esterno può arrivare soltanto la legge (imposta) a mettere ordine in modo freddo e distaccato. È all'interno della chiesa, dell'animo umano, che si sviluppano le emozioni più forti e più vere, dove nascono i dubbi più grandi, in cui hanno radici tutte le scelte. Tecnicamente il film non presenta acrobazie eclatanti se non una fotografia funzionale al racconto. Molto bella e credibile l'interpretazione degli attori che riescono a dare corpo ai tormenti dei personaggi.

In breve: Un film denso di domande e avaro di risposte e giudizi che presenta contrasti e dubbi su tanti livelli della vita umana.

Voto: 8
Davide Mazzocchi

Regia: Ermanno Olmi
Script: Ermanno Olmi
Attori: Michael Lonsdale, Rutger Hauer e Massimo De Francovich

Trama: Una chiesa ormai inagibile viene dismessa alla presenza del vecchio parroco. L'ambiente viene spogliato di tutto l'arredamento sacro e nemmeno il grande crocifisso si salverà. Da questa situazione inizia una nuova vita per l'edificio, che, ormai privato di tutti gli aspetti liturgici e "istituzionali", si trasforma nel luogo della concretizzazione viva della fede del vecchio sacerdote. Un luogo di desolazione si trasforma così in spazio di fratellanza e di accoglienza per un gruppo di extracomunitari africani senza permesso di soggiorno, simbolo degli esclusi e degli emarginati della società contemporanea.

Melancholia

Melancholia è un pianeta, un simbolo, una sensazione talmente potente da riuscire ad annullare qualunque cosa, anche la più ferrea volontà, la felicità più sconfinata, l'innocenza e la sicurezza. È questo il messaggio che sta alla base del lungometraggio. La malinconia, quella sensazione di profonda e inspiegabile tristezza arriva, non esiste una via d'uscita. Ci si può pure illudere di essere al sicuro, che andrà a finire bene, ma non è così. La malinconia divora dall'interno tutti i sentimenti, le emozioni e il raziocinio delle persone riducendole in polvere. È questa l'evoluzione di tutti i personaggi (animali compresi) del film di von Trier. Surreale e per questo altamente simbolico, si sviluppa con unità di luogo per tutte le due ore, divise nettamente nelle due parti che lo compongono. Tre a dire il vero, dato che l'inizio, apparentemente avulso dal contesto è una perla di narrazione. Con le fotografie iniziali, il regista riesce e portare lo spettatore, a livello inconscio, al pari della protagonista, Justine, dando un senso compiuto a tutto il film.

Tecnicamente il film è pregevolissimo. La fotografia convoglia un senso di equilibrio che è talmente in contrasto con i personaggi e le situazioni da risultare azzeccattissima. Le luci sono dosate con sapienza e creano un senso di divisione, tra il presente e il futuro prossimo (freddo, senza vita, azzurro). Le riprese negli interni, con cinepresa a mano e messa a fuoco molto ballerina, rafforzano il senso di disagio e precarietà avvertito dallo spettatore.

In breve: Esteticamente intrigante e mai banale, Melancholia riesce a rapire lo spettatore convogliando però un messaggio forse scontato e lapidario.

Voto: 7
Davide Mazzocchi

Regia: Lars von Trier
Script: Lars von Trier
Attori: Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg e Kiefer Sutherland

Trama: Il film è diviso in due parti e ruota attorno al rapporto conflittuale tra due sorelle, molto diverse tra loro, mentre la Terra è minacciata da una catastrofe, per l'imminente collisione con il pianeta Melancholia.

Prima parte: "Justine" Justine (Kirsten Dunst) è una ragazza all'apparenza allegra, fresca di matrimonio, che raggiunge in limousine una lussuosa villa nella quale si sta svolgendo il ricevimento. Con il passare del tempo tuttavia la ragazza dà segno di avere evidenti turbe psichiche e il matrimonio diventa per lei una tragedia: prima si isola in camera, poi tratta in malo modo il marito (Alexander Skarsgård) che cerca di starle vicino, lo tradisce facendo sesso con il suo nuovo collega di lavoro nel campo di golf adiacente alla villa ed infine si licenzia insultando il suo datore di lavoro. A fine serata, il marito decide di andarsene; Justine cerca conforto nei genitori (divorziati), ma sia sua madre (una donna incapace di provare sentimenti), che suo padre (un anziano latin lover) si dimostrano egoisti e menefreghisti nei suoi confronti; l'unica in grado di starle vicino è la sorella Claire, che la mattina successiva la accompagna per un giro a cavallo. Durante la cavalcata Justine guarda il cielo e si accorge che una stella, Antares, è misteriosamente scomparsa.

Seconda parte: "Claire" Claire (Charlotte Gainsbourg), decide di ospitare la sorella Justine, ormai in forte crisi depressiva, nella villa in cui vive insieme al marito John (Kiefer Sutherland) e al figlioletto Leo. Nel frattempo la Terra viene minacciata da Melancholia, un pianeta dieci volte più grande, che dopo aver offuscato Antares si dirige a forte velocità verso il nostro pianeta. John, un appassionato di astronomia, rassicura la moglie che Melancholia passerà solo vicino alla Terra, senza colpirla. Tuttavia cominciano a verificarsi le prime anomalie: i cavalli si imbizzarriscono, ci sono strani eventi atmosferici (neve con temperature estive), il campo elettromagnetico terrestre dà segni di cedimento (non c'è più energia elettrica) e l'aria diviene rarefatta. John, resosi conto dell'inevitabilità dell'impatto, si suicida con delle pillole. A questo punto è Claire a soffrire di crisi depressive, e cerca conforto nella sorella Justine, che nel frattempo ha superato le sue. Justine e il nipotino Leo costruiscono con dei paletti di legno un rifugio immaginario (la "grotta magica"), aspettando la collisione imminente. I tre vi entrano e si tengono la mano, mentre Melancholia colpisce la Terra, distruggendola.


La fine è il mio inizio

Guardando, o meglio ascoltando, questo film ad occhi chiusi non si perderebbe poi molto. Tutto il film è un lungo dialogo, anzi un interminabile monologo punteggiato dall'evoluzione della sofferenza di quel "corpo che marcisce". Non hanno importanza il luogo, il tempo e le banali interruzioni del figlio Folco. L'unica cosa che conta veramente è quell'ultimo viaggio che Tiziano compie e che dà un senso a tutta la sua esistenza. "Perché abbiamo paura di morire? È una cosa che hanno fatto tutti, prima di noi." È questo lo spirito con cui l'uomo si sta spegnendo. Terzani accetta questo ulteriore passaggio e lo fa con il sorriso sulle labbra, cercando di spiegare questo suo stato d'animo ai figli e alla moglie.

Per tutta la prima parte il film è un interminabile susseguirsi di campi e controcampi. Bei ritratti dei due personaggi che tentano un confronto. Non c'è alcun tipo di azione, solo le parole di Terzani. Cosa lo differenzia da un libro? Cosa aggiunge? La prima parte certamente pochissimo, ed è forse per questo che può essere tranquillamente ascoltato e non visto. La parte visiva decolla verso la fine, durante il viaggio in montagna. Allora sì che la fotografia colpisce con tutta la sua forza lo spettatore. E sono proprio i silenzi e le immagini a parlare di più. Da questo momento fino alla morte del protagonista è un susseguirsi di momenti colmi di tenerezza e di bellezza. L'interpretazione di Ganz surclassa tutto il resto e forse è addirittura troppo sentita rispetto agli altri attori che non riescono a far trasparire i sentimenti dei personaggi affidati loro.

In breve: Un lunghissimo monologo teatrale punteggiato da alcuni momenti di lieve tenerezza abbelliti dal sorriso di una grande persona.

Voto: 6
Davide Mazzocchi

Regia: Jo Baier
Script: Folco Terzani, Ulrich Limmer, Tiziano Terzani
Attori: Bruno Ganz, Elio Germano, Erika Pluhar, Andrea Osvárt

Trama: Tiziano Terzani, rendendosi conto che oramai il tumore lo sta portando vicino alla morte, scrive al figlio Folco chiedendogli di raggiungerlo a Orsigna per trascorrere con lui gli ultimi giorni di vita. Il ritorno del figlio diventa l'occasione di un intenso dialogo tra i due. Tiziano Terzani, all'interno della cornice paesaggistica dell'Appennino Pistoiese, racconta a Folco la sua storia di corrispondente in Asia, le sue esperienze spirituali, le sue riflessioni sulla vita e sull'umanità, condividendo anche lo stato d'animo col quale sta affrontando la sua fine. Il giornalista fiorentino riesce a staccarsi spiritualmente dal suo corpo così da combattere meglio la sofferenza della malattia e trasmettere una lucida serenità ai suoi familiari ai quali chiede di non piangere, bensì di ridere dopo la sua dipartita perché lui ha raggiunto la quiete interiore e non teme più la morte.


Tomboy

Regia: Céline Sciamma
Script: Céline Sciamma
Attori: Zoé Héran, Malonn Lévana, Jeanne Disson

Trama: Laure è una bambina di 10 anni. Durante le vacanze estive, la sua famiglia, di cui fa parte anche la sorella Jeanne di 6 anni, si trasferisce in un nuovo quartiere. Inizialmente Laure passa le sue giornate in solitudine, non riuscendo a integrarsi con i nuovi vicini, ma un giorno incontra la coetanea Lisa, alla quale si presenta come un bambino di nome Michael. Grazie ai capelli corti, ai modi da maschiaccio, alla distratta distanza dei genitori (in particolare della mamma), Laure riesce a ingannare Lisa e tutti i bambini del quartiere, mascherando e contraffacendo la sua identità sessuale. Ma quando la relazione tra Laure e Lisa si fa sempre più stretta e intima, la verità verrà a galla, dando vita a una serie di equivoci e complicazioni.

Laure vive in mondo totalmente indefinito che le fa da specchio e che riflette sullo spettatore lo stato d'animo della ragazza. L'ambientazione in cui si sviluppa il film non ha un tempo preciso, sappiamo solo che è estate grazie al sole, ed è priva di un luogo definito, esistono una palazzina, un campo, un fiume, un appartamento, ma niente di più. Questa sensazione è acuita dalla fotografia che propone profondità di campo ridotta (e grandi sfuocature) per tutta la lunghezza del film senza sfociare nell'estetica fine a se stessa. Laure/Michael si muove alla perfezione in questo mondo basato su un'immagine di sé altrettanto indefinita e sfumata. Il tema portante di tutto il film è proprio la ricerca da parte di Laure di un'identità fisica, mentale e sessuale. Un'identità che le sfugge, che non comprende fino in fondo, ma che nemmeno rifiuta. Laure non si sente ragazza e Michael non è un ragazzo. Il film è tutta una ricerca, un'esplorazione di questo campo così affascinante e delicato.

L'altra sensazione che pervade la pellicola è l'inevitabilità della tragedia. Lo spettatore, al contrario di Laure/Michael, sa che prima o poi avverrà qualcosa per cui la protagonista sarà scoperta. Ma più il film si sviluppa più le conseguenze potrebbero diventare devastanti per Laure e per la sua cerchia di amici, Lisa in primis. L'inevitabilità della scoperta crea tensione che raggiunge livelli molto alti, amplificati dagli spettatori in sala. La regista riesce a sciogliere la tensione sui tre quarti del film in modo talmente banale da risultare perfettamente credibile: è l'inevitabilità che si manifesta, finalmente. Da quel momento in poi assistiamo alla mutazione, all'amplificarsi e al risolversi del conflitto interiore di Laure che abbraccia una sua definizione come essere umano e lo fa con un sorriso. Il film, pur con il grande pregio di trattare un argomento delicatissimo in modo intelligente, non finisce di convincere. I personaggi, tolta Laure e la sorella minore, non sono eccezionali. I genitori sono i banali stereotipi di maschio e femmina (la madre, per ribadire il concetto, è incinta), le due vie cha ha di fronte Laure. Il padre sembra di più un'ombra, che una persona. Alcune scene sono tirate, noiose, sterili accompagnate dalle cantilene puerili della sorellina. Altre parti sembrano volutamente provocatorie e altrettanto superflue (il bagno delle due sorelle).

In breve: un'indagine profonda e attenta della pubertà e della scoperta di se stessi e della propria identità calate in un mondo di simboli poco convincenti e personaggi piatti.

Tomboy su IMDB

Voto: 6,5

Davide Mazzocchi

Basic Istinct


Regia: Paul Verhoeven
Script: Joe Eszterhas
Attori: Michael Douglas, Sharon Stone and George Dzundza

Trama: La rockstar Johnny Boz viene trovato morto nel suo letto, ucciso con un rompighiaccio. Il detective Nick Curran, che ha un passato di droga ed alcolismo ormai superato, si occupa del caso. I primi sospetti cadono su Catherine Tramell, una bella ed affascinante scrittrice che era stata vista diverse volte in compagnia di Johnny Boz. La psichiatra Beth Gardner, che è anche l'ex ragazza di Nick, scopre che il delitto di Johnny è identico ad uno descritto in uno dei romanzi della Tramell...



Kim Novak di Vertigo e soprattutto Grace Kelly di Caccia al Ladro fanno autocoscienza, si emancipano e vengono fatte reincarnare a forza in una fino ad allora sconosciuta attricetta ormai over 30, tal Sharon Stone, che grazie a un celeberrimo sgranchimento ginecologico diventa finalmente celebre. Il risultato è un film di scarsa qualità, ma di grande successo all'inizio dei postmoderni anni '90 (riempì molte altrimenti languenti conversazioni dell'anno 1992 col fatidico dubbio se la "cosa" fosse davvero visibile). Verhoeven non è De Palma e i ripetuti tentativi di rimando hitchcockiano sono goffi, ma a distanza di 20 anni, scanalando la sera e fermandosi su Iris Mediaset, si può rivederlo con sapida leggerezza solo per ammirare la capacità degli autori di cogliere lo spirito dei tempi che cambiano, vera chiave del film.

Dopo essere stato strapazzato e condotto al decesso da Mrs. Rose nell'omonima guerra, dopo aver subito il pericolosissimo stalking di Glenn Close in Fatal Attraction, il profeta di Wall Street, Gordon Gekko, viene pateticamente circuito da una scaltra e viziatissima milionaria (oltre che provetta psicopatica, ma è un dettaglio), che tra le altre cose nei ritagli di tempo pubblica best seller di giallistica. Ma la cosa peggiore, per quella che è e rimane una delle icone maschili degli anni '80, è il finale: invece di finirlo, la mantide religiosa bionda si fa commuovere dalla sua remissività nel rinunciare al proprio desiderio di paternità, sicché l'arma del (sacrosanto) delitto rimane sotto il letto.
Siamo certi che la mattina dopo il nostro Gekko ammosciato (un'immagine quanto mai attuale dati i disastri finanziari di questi tempi) l'avrà riposta lui in cucina, giustificando dentro di sé l'amata.

In breve: brutto, ma interessante per la storia del costume.

Voto: 5, di affetto per i tempi che furono.


Colin McKenzie

Inception

Regia: Christopher Nolan
Script: Christopher Nolan
Attori: Leonardo DiCaprio, Joseph Gordon-Levitt, Ellen Page, Tom Hardy, Ken Watanabe, Dileep Rao, Cillian Murphy, Tom Berenger, Marion Cotillard, Pete Postlethwaite, Michael Caine, Lukas Haas

Dal sito del film: Dom Cobb (Leonardo Di Caprio) è un abilissimo ladro, il migliore al mondo quando di tratta della pericolosa arte dell'estrazione: ovvero il furto di preziosi segreti dal profondo del subconscio mentre si sogna, quando la mente è al massimo della sua vulnerabilità. Le abilità di Cobb ne hanno fatto un giocatore di primo piano nel pericoloso mondo dello spionaggio industriale, ma lo hanno reso un fuggitivo ricercato in tutto il mondo. Ma ora Cobb ha una chance di redenzione, ma solo se riuscirà a rendere possibile l'impossibile.

Che Christofer Nolan fosse uno dei registi più innovativi di Hollywood ci era ben noto sin dai suoi due film culto (Memento e The Prestige) e per aver dato una nuova vita al personaggio di Batman, dopo gli ultimi due film di Schumacher; mai però avrei pensato che sarebbe riuscito a superare se stesso per l'ennesima volta: Inception è il miglior film degli ultimi tempi. Il film si svolge su differenti livelli di narrazione: realtà, sogni e metasogni, ma le "regole" per comprendere il tutto ci vengono fornite in maniera chiara così da rendere l'approccio alla pellicola meno complicato. La trama in sé infatti è piuttosto lineare ma come in ogni film di Nolan ci vengono forniti degli indizi che possono ribaltare completamente il punto di vista del film: sta a noi decidere se addentrarci in un labirinto mentale alla ricerca di una nuova verità.

Dal punto di vista tecnico il film è davvero eccellente, merito soprattutto della fotografia raffinata di Wally Pfister che da anni collabora con il regista. Le musiche sono firmate da Hans Zimmer che ormai è presente in qualsiasi blockbuster. Film perfetto insomma? Chiaramente no, come in tutte le cose ci sono dei difetti che però in questo caso non pregiudicano la qualità della pellicola. In questo lungometraggio il difetto più grande è l'aver reso l'ultima ambientazione onirica un po' troppo vicina ad un videogioco: nel complesso ci può stare ma mi sarei aspettato qualcosa di diverso.

In breve: senza dubbio il miglior film di Nolan sperando che con l'ultimo Batman riesca a superare quell'asticella immaginaria che ha raggiunto livelli elevatissimi

Voto: 9
Alberto Bosio

Inception su IMDB


Arrietty

Regia: Hiromasa Yonebayashi
Script: Mary Norton (romanzo), Hayao Miyazaki, Keiko Niwa

Dal sito del film:  Sotto il pavimento di una grande casa situata in un magico e rigoglioso giardino alla periferia di Tokyo, vive Arrietty, una minuscola ragazza di 14 anni, con i suoi altrettanto minuscoli genitori. La casa è abitata da due vecchiette, che naturalmente ignorano la presenza di questa famiglia in miniatura. Tutto ciò che Arrietty e la sua famiglia possiedono, lo "prendono in prestito": strumenti essenziali come la cucina a gas, l'acqua e il cibo; e ancora tavoli, sedie, utensili, o prelibatezze come le zollette di zucchero. Tutto viene preso in piccolissime quantità, così che le padrone di casa non se ne accorgano. Un giorno Sho, un ragazzo di 12 anni che deve sottoporsi a urgenti cure mediche in città, si trasferisce nella casa delle vecchiette. I genitori di Arrietty le hanno sempre raccomandato di non farsi vedere dagli umani: una volta visti, i piccoli abitanti devono lasciare il luogo in cui sono stati scoperti. L'avventurosa ragazzina, però, non li ascolta, e Sho si accorge della sua presenza. I due ragazzi iniziano a confidarsi l'uno con l'altra e, in breve tempo, nasce un'amicizia...

Esistono due mondi divisi da un pavimento di legno antico come le incomprensioni e la diversità. Due mondi tenuti assieme da un rapporto di stretta dipendenza e destinati a incontrarsi. In questo nuovo lungometraggio dello studio Ghibli è la mancanza di una volontà a stupire lo spettatore. Tutto succede per caso, senza che i personaggi lo vogliano veramente. Nessuna delle figure coinvolte ha un vero obiettivo o qualcosa a cui tendere, tutti sono in balia di qualcosa di vago, sballottati dagli eventi in modo passivo. È questa la sensazione che permea tutto il film, e quando i due mondi si incontrano è per stabilire la fine prematura di una possibile convivenza. I due protagonisti, Arrietty e Sho, si cercano in maniera stanca e si trovano soltanto nel momento di massima urgenza quando l'esistenza stessa dei piccoli prendinprestito viene minacciata. I personaggi sono opachi e a differenza di altri lavori degli stessi autori non hanno nemmeno la minima parvenza di vitalità. Vincono la quotidianità più scialba dei piccoli esserini e la rassegnazione di Sho, personaggi proiettati stranamente verso un'esistenza priva di qualunque futuro. L'incontro di questi due mondi, così diversi eppure così simili, è goffo. Non c'è un vero scontro, solo una serie di tentativi di avvicinamento dei due protagonisti che hanno come risultato la definitiva separazione.

La cosa incredibile è l'affermazione di Sho, verso la fine del film. Egli sostiene di aver ritrovato la speranza (di vivere) proprio grazie ad Arrietty. Purtroppo questa evoluzione non è percepibile e forse è proprio per questo che c'è bisogno di affermarla. Questo è soltanto uno dei semplici dialoghi che hanno luogo nel film: scambi verbali  fatti per lo più per spiegare allo spettatore cosa sta succedendo. Come per i personaggi, anche i dialoghi mancano di impulso. L'aspetto visivo, generalmente curato, basti pensare ai dettagli dei disegni de La città incantata, non è all'altezza dei lungometraggi precedenti, anche se non è privo di finezze. Molto apprezzabili le animazioni dei liquidi (il té) viste dagli occhi degli gnomi: la tensione superficiale dell'acqua crea gocce molto più grandi rispetto ai visi dei prendinprestito. In generale, la differenza di dimensioni dei protagonisti è percepibile e mai artificiosa. La colonna sonora, affidata a Cécile Corbel, sottolinea con delicatezza e garbo molte delle scene del film. Il tema principale, Arrietty's Song, è una perla così gradevole che fa dimenticare per un momento molte pecche che scorrono sullo schermo.

In breve: un film popolato da personaggi grigi, sballottati dagli eventi portatori di un messaggio di speranza poco chiaro anche se condivisibile.

Voto: 5,5


Davide Mazzocchi

Arrietty su IMDB