Lasciamo stare il titolo. Il film si risolve nei primi minuti, il resto è sviluppo sensato. Quel "credono che qui siamo immuni alla vita" è qualcosa di potente, una verità talmente ovvia che fa fatica a essere accettata. Il "qui" intende le bellissime Hawaii (da cui l'orrendo titolo italiano di Paradiso Amaro: non solo è fuorviante, ma è l'esatto contrario di quello che dice il film, forse il traduttore non l'ha visto).
Il tema centrale di tutto il dramma (presentato senza troppi veli) è il cambiamento. Il Cambiamento con la maiuscola, quello vero, quello che arriva all'improvviso e stravolge tutto. Il Cambiamento che spacca le ossa e cancella le cicatrici. La spinta verso qualcosa, qualcuno, tutto condito con quello sporco affare che è la vita, con la sua quotidianità, gli atti di vendita e acquisto, i giochi dei bambini al mare, la scuola, l'amore e tutto il resto. Qui il Cambiamento è messo in moto dalla morte. La classica scintilla che fa esplodere tutto ma che non è per niente la fine, solo un momento nella vita di molti altri.
Il film ci racconta, e nel frattempo indaga, molti aspetti della vita di una famiglia distrutta. I personaggi raramente saltano fuori con grandi dialoghi ma piangono e sanguinano parecchio. Si cozzano l'uno contro l'altro lasciandosi addosso brutte ammaccature, ma alla fine vanno avanti, non più trainati dalla quotidianità e dall'incomprensione, ma da ben altro. Non ci sono eroi, dei o anime pure, ma solo persone talmente comuni che potrebbero avere le facce dei vicini di casa (al posto di quella del buon vecchio George, sempre in gran forma). E non è amaro, semplicemente vero, perché il finale, che può sembrare banale e scontato, la dice molto lunga. È la vita. Va così, tanto vale volersi bene.
Voto: 7
Davide Mazzocchi