La Grande Bellezza è una perla rara


Considero Louis Ferdinand Céline il miglior scrittore del ‘900, ma come citazione iniziale per questo film avrei visto meglio un aforisma Wildiano sull’inutilità della vera arte. Perché "La grande Bellezza" più che un viaggio è una visita guidata da un brillante e attempato giornalista mondano di nome Jep Gambardella a un giardino zoo(antropo)logico allestito dal talentuoso architetto Paolo Sorrentino.
C’è la performer cialtrona e afasica che inconsapevolmente realizza l’ossimoro "bush comunista" (sul come, si rimanda alla visione); c’è la bimba prodigio che se opportunamente maltrattata può trasformarsi in una Jackson Pollock del 2000 e c’è pure il Pollock lanciatore di coltelli; c’è il fotografo facebookaro che espone le istantanee di se stesso dalla nascita al giorno presente. Tutto un bestiario che Gambardella racconta e satireggia per lavoro. Per diletto, oltre a concedersi una casa con vista sul Colosseo (lo spirito dell’ex ministro Scajola aleggia e alla fine si manifesta), la visione riservatissima e ad libitum di capolavori del passato come la Fornarina o semplicemente un’alba meravigliosa, può frequentare quella che una volta si sarebbe chiamata "la bella società", che del medesimo zoo è un ulteriore padiglione che ospita ricche milf milanesi tanto accessibili quanto noiose, madri apprensive di figli schizzati, poeti silenziosi e ossessivamente innamorati di direttrici nane di giornali scandalistici, nobili a noleggio per serate come fossero ex concorrenti di reality, potenti cardinali con la logorrea culinaria, pubbliciste politicamente impegnate dall'enorme ego (meravigliosamente demolito da Jep in una delle scene più memorabili), patetici artisti wannabe di provincia, spogliarelliste attempate e veraci, ex star televisive cocainomani, un padiglione pettegolo, festaiolo e consapevole della propria pochezza spirituale.

Solo la vera bellezza, rara e sommersa sotto il cumulo di vacuità di cui è fatta gran parte della vita, può salvarci. La guida lo trasmette in vari modi ai visitatori dello zoo seduti davanti allo schermo, come nella sequenza della lezione di comportamento ai funerali, lui lo sa da sempre, glielo ribadisce a modo suo una Santa centenaria che si nutre di sole radici. Lo sanno pure le giraffe e i fenicotteri. Lo seppe Jep diciottenne fissando il suo primo amore, al mare. Ogni sequenza, dalla più banale a quella più virtuosistica, trasuda di aspirazione alla bellezza.
Giunto a 65 anni, lo scrittore declassato a giornalista di costume realizza che non ha più tempo da perdere in cose che non gli va di fare. Prendetelo come un consiglio senza età e senza tempo: se non vi piacciono i film in cui l’estetica surclassa l’azione, meglio non andare a vederlo. In caso contrario, non perdetevelo. 

Voto 9. Il grande Cinema si può e si deve fare anche in Italia.
Colin McKenzie

Il Grande Gatsby


Tutto comincia con la notizia, ormai più di un anno fa: "Lo sai che fanno il grande Gatsby al cinema?" Lì per lì la cosa non mi ha sconvolto, sono andato a vedere il cast e ho deciso che questo film avrebbe avuto delle serie possibilità di piacermi. Poi è arrivato il trailer. È stato quello a sconvolgermi. Non tanto la zebra nella piscina, quella fa parte dell'esagerazione, mi hanno sconvolto la luce verde ammiccante, di là dalla baia e soprattutto il manifesto dell'uomo con gli occhiali.

Riuscite a capire la grandezza del gesto? Quella è stata una dichiarazione di intenti mica da ridere. Il regista stava parlando con me, con fare beffardo: "Guarda, ho preso uno dei tuoi libri preferiti e ci ho fatto un film. Guarda cosa ti metto nel trailer." Avrebbe potuto mettere di tutto, perché quindi mostrare quei due elementi? Per sfidarmi, ecco perché. Ho contato i giorni, le ore e gli attimi che mi separavano da Natale, prima data d'uscita del film, ma ecco che al posto di Gatsby mi tocca vedere un hobbit che vaneggia. Un duro colpo, lo ammetto, incassato con dignità e contegno. Mi sono limitato a imprecare per qualche ora e a piangere per pochi minuti. Trascorrono mesi senza senso quanto i film proposti in sala, ma finalmente arriva il giorno.

Di solito la evito, ma per questo film la prima visione mi sembra azzeccata. Mi accaparro un posto laterale in terza fila e mi gusto il film in diagonale. Il regista ammicca ancora e mi dà il benvenuto con queste parole:
Negli anni più vulnerabili della giovinezza, mio padre mi diede un consiglio che non mi è mai più uscito di mente. "Quando ti vien voglia di criticare qualcuno" mi disse "ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu".
Non c'è bisogno di altro: ho capito. Questo, semplicemente non è un film e non va guardato come tale, questo è un tributo. Se non avete letto il libro guarderete il film senza poterlo realmente assaporare, perché il film da solo non vuol dire assolutamente nulla. Serve aver amato le parole di Fitzgerald che descrive la purezza di un sogno e la tragedia della sua distruzione. Senza queste parole, le immagini non servono a nulla e il regista questo lo sa. Infatti si mette da parte e si inginocchia come se fosse al cospetto di un dio. Tutto è perfetto proprio perché nulla è stato cambiato (ok, qualcosina, marginalmente). L'aver colto tutti i significati del libro è stato un gran colpo. A cui si aggiunge la sorpresa di vedere le terribili parole del finale danzare sullo schermo luminose e leggere. In quel momento, lo confesso, mi sono commosso.

Grazie Baz, davvero, per non aver fatto a pezzi questo libro.

Voto: 8
Davide Mazzocchi

Iron Man 3 e Zero Dark Thirty: l'America che non ti aspetti

La faccenda è sempre la stessa. È da una vita che va così e ve la spiego velocemente: c'è un cattivo che minaccia una grande nazione e fino a un certo punto riesce a creare un clima di terrore e ad averla vinta, ma la grande nazione gli sguinzaglia contro un supereroe volante o i servizi segreti e alla fine il cattivo deve farla finita. D'altronde comandare una rivoluzione con un proiettile in testa è anche abbastanza dura.

La solita faccenda ce la raccontano due film che in definitiva non c'entrano nulla un con l'altro, ma hanno tutto in comune da sembrare quasi studiata. Parliamo della nuova pellicola di Iron Man, arrivata alla terza fatica e di Zero Dark Thirty, di quella Bigelow che ultimamente ci dà dentro con il problema Mediorientale. Da una parte l'uomo d'acciaio, dall'altra una donna che non ha nulla da invidiare al playboy volante per determinazione. Due protagonisti che hanno in comune tra l'altro la solitudine. Perché se da un lato il buon vecchio Stark è persona sociale e mondana, si ritrova comunque a combattere sempre da solo. Così come la rossa Maya, agente CIA alle calcagna del vecchio Bin, che di sociale non ha nulla. La solitudine dell'uomo all'ombra della grande nazione, fatta di politicanti che non agevolano nulla e che insomma quasi quasi sembrano contenti che ci sia un cattivone da qualche parte.

La politica come struttura ormai marcia, corrotta, putrida. Mentre in Iron Man l'accusa è palese, in Zero Dark viene dipinta come un colosso di cera che fatica a muoversi, rosa da scontri e battaglie intestine piuttosto che tesa al bene della collettività. Chi ha pensato a Zero Dark come all'esaltazione dell'America sbaglia e di grosso. Io non la vedo così, o meglio, se è questo ciò di cui essere orgogliosi, stiamo freschi. Ormai gli USA non sono più gli eroi in tuta attillata che arrivano e salvano la situazione. Arrancano, sono vittime di continui attacchi (tralasciando gli alieni, naturalmente, in quel caso ci hanno difeso davvero egregiamente, grazie zio Sam). Vittime della loro stessa fame di potere e della loro ingordigia. Se lo dice un film drammatico e lo ribadisce un film d'azione qualcosa deve pur esserci sotto no?

E infine, la vittoria che in qualche modo annienta i due protagonisti. Iron Man se ne esce con una frase e un finale che hanno del patetico. Caro Tony, se hai bisogno di convincerti di essere Iron Man, allora caro mio è meglio se appendi l'armatura al chiodo. Così come Maya, dipinta come un'ossessionata vittima del suo stesso successo (missione compiuta e mental breakdown potente). Insomma, signori, il cinema sta parlando del fallimento degli Stati Uniti che sono ormai diventati un enorme e bolso gigante di argilla che va in giro ad attaccar briga.

Dei due film, molto meglio Zero Dark Thirty che almeno ha una trama che non fa acqua. Iron Man ce lo vogliamo dimenticare al più presto.

Voto: 4 (Iron Man 3), 8 (Zero Dark Thirty)
Davide Mazzocchi